Il sottosegretario pentastellato Vincenzo Zoccano: «Sono cieco ma non mi sono mai dato per vinto. Grillo sugli autistici? Ha sbagliato, però io lo difenderò sempre». Continua «Sì, è vero, la società tende a emarginarci. Tuttavia una parte di responsabilità è anche di noi persone con disabilità: dobbiamo essere meno disabili e più persone. Siamo noi i primi a comunicare noi stessi, con il nostro atteggiamento». Formalmente è un sottosegretario, il primo non vedente della storia italiana. In realtà, il pentastellato Vincenzo Zoccano è il ministro aggiunto dell’esecutivo guidato da Giuseppe Conte. E non soltanto per evidenti ragioni di autorevolezza personale (a ogni sua parola segue l’immediato apprezzamento dei colleghi di governo). No, la questione è anche tecnica: dipende direttamente dalla presidenza del Consiglio dei ministri. Infatti, più d’uno, dentro e fuori il Movimento 5 stelle, pensa di elevare al rango di ministero il suo sottosegretariato alla Disabilità. Nel frattempo Zoccano sta lavorando, di concerto con il premier Conte, alla stesura di un Codice della disabilità, utile «a rendere omogenea la legislazione italiana» e a «cancellare tutti quei termini offensivi che ancora resistono nelle leggi, tipo handicappato».
Sottosegretario, l’impressione è che la sua vita sia molto più normale di molti che si sentono più normali di lei.
«È un fatto culturale. Bisogna auto-includersi nella società. Se uno mostra prima la sua disabilità, e soltanto dopo le sue abilità, è normale che le persone tendano a emarginarlo. Insomma, nell’esclusione sociale una parte di responsabilità è condivisa».
Lei sembra un tipo assai includente.
«Nonostante lo stereotipo che si ha nei confronti delle persone con disabilità, la mia vita sociale è piuttosto densa».
Ha avuto una grande forza.
«Ma no, è stata soltanto la capacità di riconfigurarsi. Sono nato ipovedente. Vedevo pochissimo ma vedevo. La differenza sembra nulla ma è sostanziale, mi creda. Tuttavia sono stato profeta. Da ipovedente ho studiato in braille, anche la musica. E così, quando a 18 anni, contro ogni previsione clinica, ho perso anche quel visus che avevo, sono potuto ripartire con qualche strumento in più».
Molti sarebbero finiti nel buco nero della disperazione.
«Quando ti trovi davanti a eventi come quello, hai intorno tua madre che si dispera, tuo padre che si sente in colpa, gli amici che spariscono. Devi auto-analizzarti e analizzare anche i tuoi cari. Però hai davanti due chance: o tiri fuori gli attributi o ti annichilisci. Ma sei tu che guidi te stesso, sei da solo. Nessuno può dirti ciò che puoi o devi fare, almeno nella prima fase, quando devi renderti conto di quello che ti è successo. E allora o vinci o perdi. Non c’è il neutro. Devi solo scegliere».
Lei ha vinto.
«Di sicuro ho rinunciato alla comodità di demandare tutto agli altri, di dire: adesso io sono cieco, fate di me ciò che volete. Ho scelto di prendere in mano la mia vita. Il mio discorso è stato: sono cieco, ma il resto funziona, calibro la mia vita su ciò che funziona».
Nonostante sia nato in Campania ha perso l’accento delle origini.
«Dipende dalla mia formazione. Sono della provincia di Avellino, Greci, dove ho vissuto fino a 12 anni. Dopodiché motivi di studio mi hanno portato a scegliere Trieste. Sono lì dal 1985».
Perché Trieste?
«Ho chiesto a mio padre, un medico, di mandarmici. Avevamo e abbiamo dei punti di riferimento di compaesani che abitano lì. Soprattutto, c’era e c’è l’istituto Rittmeyer, di cui fino a sei mesi fa ero vicepresidente. Un istituto che è un fiore all’occhiello italiano a livello internazionale per la formazione dei non vedenti e degli ipovedenti. È stata una scelta di cui non mi pentirò mai».
Torna mai a Greci?
«Certo, spesso. Lì ho ancora mia nonna e alcuni zii. Ma al di là dei parenti, amo il mio paesino di origine. È l’unico di lingua arbëreshe in Campania. Pensi che io in famiglia parlo ancora in questa lingua. Sono cose che restano e qualificano».
Tuttavia è a Trieste che ha trovato l’amore.
«Mi sono sposato, ho due bambini, una bella famiglia. La moglie, l’ultima vera fidanzata, è arrivata nel 1998. Ci siamo sposati nel 2000. Posso soltanto ringraziarla: lei, soprattutto a causa dei miei impegni governativi, ha i figli a carico per gran parte del tempo. Il grande ha 13 anni, la piccola 8».
Una volta ha criticato Beppe Grillo.
«Sì, ma su una questione di merito. Aveva fatto una battuta da me non ritenuta opportuna sugli autistici. Sono stato subito iscritto tra gli antipatizzanti. Non è vero: Grillo lo difendo e lo difenderò sempre. Su di lui in tanti, troppi, sversano parole senza senso».
E ha pure litigato con Roberto Giachetti del Partito democratico, ora candidato alla segreteria.
«È perlomeno un maleducato. Mi ha accusato, urlando in modo sguaiato, di rimanere seduto mentre parlavo all’Aula. Ovviamente, sono obbligato dall’utilizzo degli strumenti informatici. Giachetti di sicuro era all’oscuro del mio essere una persona con disabilità, e questa è già una colpa perché sei fai il parlamentare devi essere informato. Ma almeno poteva chiedere conto al presidente della Camera delle ragioni per le quali rimanevo seduto. Invece no, ha prodotto una sceneggiata senza alcun rispetto per le istituzioni che rappresenta. Una vergogna».
Da Trieste lei è stato molto impegnato nell’associazionismo, anche da presidente del Forum italiano sulla disabilità.
«Sì, e credo di aver sviluppato una certa competenza. Però una cosa voglio sottolinearla».
Prego.
«Non è che una persona disabile può fare politica soltanto sull’argomento disabilità. Anche questo è un luogo comune da sfatare. Io faccio politica a tutto tondo».
Infatti tende ad alzare l’asticella del pensiero. Per esempio, sostiene che dove le persone disabili vivono bene, vivono bene tutti.
«Esatto. Certe scelte non riguardano soltanto noi, ma l’intera società».
Lei ha scelto tanto in questi mesi. O, almeno, ha fatto scegliere.
«Mi sono battuto per la revisione della legge sul ‘Dopo di noi”, un provvedimento incompleto, con un finanziamento irrisorio, peraltro non condiviso con tutto il mondo delle disabilità. E poi ho fatto inserire la disabilità nel Def e proposto la revisione delle norme che riguardano l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità e una legge sui caregiver, le persone che prestano volontariamente cura e assistenza ai propri parenti. Infine ho chiesto di incrociare le banche dati. Sembrerà incredibile, ma in Italia nessuno ancora sa quanti siano le persone con disabilità».
Resta da affrontare la questione della pensione di cittadinanza per le persone disabili.
«I commentatori stanno facendo non poca confusione tra pensioni e indennità, tra invalidità e inabilità al lavoro. Il reddito di cittadinanza, infatti, riguarda allo stesso modo tutti i cittadini, con o senza disabilità. Ma le persone con disabilità non firmeranno il Patto per il Lavoro poiché sono comprese nel meccanismo del cosiddetto ‘Collocamento mirato”. La vera questione sono le prestazioni pensionistiche. Qui va fatta chiarezza. Le associazioni saranno certamente ascoltate in parlamento, dove potranno ragionevolmente proporre il loro punto di vista e proporre modifiche».
Quindi molto va ancora fatto.
«Sì, ma attenzione, con un altro interesse rispetto al passato. La disabilità è parte fondamentale dell’agenda di questo governo: veniamo da anni di politiche fatte a spot e senza una reale visione di insieme».
Una mano può darvela l’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità.
«Uno strumento essenziale di condivisione, confronto, raccordo e indirizzo propositivo. Sempre in sinergia con il lavoro del governo».
Ora faccio l’avvocato del diavolo. Lei ora gestisce una postazione di potere. Immagino che verranno in tanti a chiederle soldi e prebende.
«Guardi, qui soldi non ne circolano, circolano idee e proposte. E comunque il problema non sono i denari ma quanti sono e come si spendono. Ecco, sull’indirizzo dei fondi c’è tanto da fare. La capacità e la sensibilità di Conte sono una garanzia anche per il mio lavoro».
È vero, a parole c’è molta attenzione da parte di Palazzo Chigi. Ma è sicuro che alla fine della fiera lei non rischia di ritrovarsi da solo?
«Lo escludo. Questo è il governo del cambiamento e deve dimostrarlo con i fatti. Inoltre, i ministri stanno dimostrando una grande attenzione alle mie proposte».
Un nome in particolare?
«Alfonso Bonafede. Con lui, al ministero della Giustizia, ho avuto un bellissimo incontro di lavoro. Con il guardasigilli ho trovato una straordinaria intesa su tematiche fondamentali. Abbiamo parlato di Codice unico della disabilità, delle difficoltà delle persone con disabilità con i meccanismi della giustizia, della questione degli amministratori di sostegno e degli uffici di prossimità, un nuovo strumento per non dover recarsi presso i tribunali. Senza tralasciare la burocrazia e la necessità di rivedere norme oramai obsolete».
In pratica cosa farà?
«Favorirò da subito il lavoro di squadra. Insieme al premier Conte, per la prima volta nella storia italiana, sto per convocare il tavolo interministeriale sulla disabilità. A differenza di chi ci ha preceduti, siamo al lavoro per cambiare la storia. E lo faremo».
FONTE: LA VERITÀ, articolo di Ludovico Sanfelice del 28 gennaio 2019.
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