Tra i miei simili ero considerato stupido, debole, troppo sensibile e buono. Ero innocuo. Mi pare che vivessi nei serpenti. Dico ‘mi pare’ perché ho subito un trauma. Ricordo solo che guardavo il Mondo dal basso. Poi più nulla. Finché mi sono risvegliato. Il mio nuovo ospite ora è una creatura diversa. È alto, cammina su due zampe e si chiama “uomo”. È in grado di fare cose eccezionali e capii subito che è la creatura più potente del pianeta, nel bene come purtroppo anche nel male. In poco tempo ho imparato a viaggiare, a pilotare aerei, e ho visitato quasi tutto il Mondo abitato da una miriade di uomini e volavo da uno all’altro per replicarmi al mio meglio. Ma, dopo pochi giorni alcuni di quelli in cui vivevo iniziarono ad ammalarsi, a volte fino a morire in modo terribile, soffocati. Hanno dato a me la colpa dicendo che ero diventato forte e letale. Mi hanno dato anche un nome, Covid 19. Ebbero paura di me come della guerra. Per me venne proclamato il coprifuoco e tanti abbassarono le saracinesche delle botteghe, tanti si chiusero in casa. Fino allora avevo vissuto una vita meravigliosa conoscendo cose del Mondo che mai avrei immaginato, e poco dopo ero chiuso tra mura domestiche dentro gente impaurita o, ancor peggio, dentro persone agonizzanti negli ospedali. Ma ciò che mi aveva reso così forte non mi aveva cambiato del tutto. La Natura sensibile e buona che mi era appartenuta scalpitava in me. Allora decisi di ispirarmi all’uomo. Se ero diventato forte e letale nel male, tanto da uccidere la creatura più potente del pianeta, allora potevo usare la mia forza anche nel bene per stroncare i suoi aspetti peggiori e dargli una vita migliore. Scoprii che se ero resiliente, se affrontavo quel brutto momento per uscirne io stesso migliore, non mi replicavo, restavo invisibile dentro di loro e potevo produrre singolari effetti. Quando pensavano di essersi isolati solo per salvaguardare sé stessi, gli feci comprendere e apprezzare che lo facevano per proteggere e prendersi amorevole cura anche degli altri. Se ricordavano gli abbracci e le strette di mano come gesti formali, gli feci percepire la fastidiosa e dolente assenza delle endorfine che abbracci e strette di mano producono per generare benessere e piacere in chi li dà e in chi li riceve. Quando ripercorrevano con la mente i loro cammini quotidiani, guardando avanti o in terra per sfuggire lo sguardo della gente che incrociavano, senza salutare nemmeno i vicini di casa, ridestai in loro la consapevolezza d’essere creature sociali che hanno vitale bisogno di guardarsi, sorridersi, farsi un cenno che non costa nulla ma allarga i cuori e li fa sentire parte di una famiglia e di un affetto più grandi. A quanti rimpiangevano le spese di corsa da una bottega all’altra, li ho aiutati a riorganizzare i dati della loro memoria per impastare in casa pane, pasta e pizze, tutti insieme come in un gioco, a cucinare e vivere con calma, come fosse festa in famiglia ogni giorno, tra profumi antichi, semplici, buoni. Se gli mancava la frenesia quotidiana e lo shopping o credevano di avere poco, li indussi a rilassarsi, a riappropriarsi del tempo, ad aprire armadi, cassetti, scarpiere, sportelli e ripostigli per fare inventari delle innumerevoli cose che possedevano e per decidere quali usare e di quali disfarsi in modo produttivo e nobile, non buttandole ma facendone poi dono a chi ne avesse bisogno. Se erano stati tediati dalle raccomandazioni a non fare sprechi e dalla raccolta differenziata, gli feci amare l’impiego del tempo per rendere più ordinato e pulito il Mondo, per usarne con oculata e amorevole cura le risorse, e donai loro la consapevolezza che la Terra non gli apparteneva ma ne erano ospiti con il dovere di prendersene cura per lasciarla pulita e migliore ai propri figli e nipoti. Quelli abituati a usare la macchina anche per andare a due isolati di distanza, li indussi ad anelare di prendere la bicicletta e camminare, e a rispettare, una volta tornati al volante, i ciclisti e le strisce pedonali.Riunendo a tempo pieno le famiglie, ho fatto comprendere a mamme e papà convinti di dover lavorare sempre più per esaudire tutti i desideri della loro prole, che l’amore in assoluto più indispensabile e caro ai figli è quello diretto, caldo, tra le braccia, i giochi e i dialoghi affettuosi dei genitori. Ai bulli, siano essi colleghi, capi, insegnanti o studenti, tediati dall’inedia o dai compiti online, feci rimpiangere ogni altro collega, capo, insegnante e studente, e li feci pentire d’essere annoiati o superficiali o crudeli, e ognuno desiderò tornare presto al suo posto, alla sua scuola o università per riscattarsi e fare il proprio lavoro non più perché andava fatto, ma per stare meglio e in armonia con gli altri e per rendere migliore questo Mondo e sé stessi. E se erano ostinati o impauriti tanto da non voler uscire anche sul balcone o in terrazza, li spinsi ad accendere una candela, una torcia, il led del cellulare o un accendino e ad affacciarsi alle 9 di sera per vedere come una luce è poca cosa nel buio, ma tutte insieme possono abbattere l’isolamento, possono illuminare e scaldare il cuore di ognuno come e più del Sole.
Con affetto.
Un virus resiliente.
(Dott. Marco Sammarco, Psicologo Psicoterapeuta)