Tutto quel che si deve fare, per una reale e concreta Vita Indipendente

L’ENIL Italia (European Network on Independent Living), chiede di superare, dopo cinquant’anni di applicazione nel mondo occidentale e dopo quasi un trentennio in Italia, l’attuale fase di “sperimentazione” e di passare all’esigibilità del diritto di tutte le persone con disabilità che lo scelgono, di poter liberamente assumere assistenti personali autonomamente gestiti, con un modello di progetto personalizzato e autorganizzato mediante l’istituzione di un apposito e adeguato fondo governativo.

L’ENIL è un’organizzazione nata sul finire degli Anni Ottanta, con la missione di portare dagli Stati Uniti all’Europa, e quindi anche in Italia, il diritto alla Vita Indipendente, ponendo l’assistenza personale autogestita come strumento principale per perseguirla.
E’ un movimento di persone con disabilità che, insieme ad altre organizzazioni, ha ottenuto nel 1998 la Legge 162 e che con l’avvento della Legge 328/00 ha dovuto riorganizzarsi in Comitati Locali e/o Regionali, per poter acquisire localmente quell’esigibilità che prima della riforma del Titolo V della Costituzione e con il raggiungimento della Legge 162 sembrava già conquistata e applicabile in modo omogeneo in tutto il territorio nazionale.

Va precisato che, quando parliamo di assistenza personale autogestita, quale strumento di promozione per la Vita Indipendente, sulla base dei princìpi della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, non si esclude nessuna forma di disabilità, perché essa può essere integrata con altre forme di supporto, ad esempio: amministratore di sostegno, educatore, psicoterapeuta, o altra figura professionale, qualora se ne presenti la volontà o la necessità.
Negli anni successivi, in alcune Regioni, principalmente del Nord (Piemonte, Toscana, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta, Sardegna e Sicilia), e in alcune città, come Roma e Como, dove la presenza di attivisti informati, organizzati e determinati ha trovato ascolto, si è cominciato ad ottenere Delibere e Regolamenti volti al conseguimento della Vita Indipendente mediante l’assistenza personale autogestita, con i relativi finanziamenti, per la verità poco consistenti e alquanto differenziati.
Grazie ad essi, le persone con disabilità, sebbene in modalità ridotte, hanno potuto vivere nel proprio nucleo familiare d’origine o in uno di nuova formazione, o ancora vivere sole, evitando di finire in un istituto, sebbene in condizioni comunque lontane dalla pari dignità ed eguaglianza consentita ai cittadini non disabili.
In anni più recenti, Regioni del Centro Italia come il Molise e l’Abruzzo hanno conseguito delle apposite Leggi, anch’esse alquanto limitate in termini di finanziamenti, mentre nella maggior parte delle Regioni d’Italia, e in particolare al Sud, non è stato ottenuto alcuno strumento normativo per garantire il diritto all’autodeterminazione delle persone con disabilità, cioè il diritto di vivere in modo indipendente. Di conseguenza, ancora molte persone disabili sono a carico delle loro famiglie, contemporaneamente “vittime” e “carnefici” dei loro cari, o rinchiuse negli istituti e nelle case famiglia o abbandonate a loro stesse, a volte fino a morirne, il che equivale a dire che la maggior parte di esse vive ancora pesantemente discriminata e segregata. Contestualmente anche i diritti di cittadinanza restano inesigibili, nel caso in cui le persone con disabilità vogliano o necessitino di cambiare residenza.

Gli sforzi dei precedenti Governi per consentire alle Regioni di colmare il vuoto amministrativo e di dare risposte al bisogno/diritto di autodeterminazione delle persone con disabilità, anche per adempiere agli obblighi disposti con la ratifica della Convenzione ONU, mediante la Legge 18 del 3 marzo 2009, hanno prodotto in materia di Vita Indipendente, ben miseri risultati.
Più che portare a un percorso volto a consentire alla persona con disabilità di scegliere, in piena libertà e autonomia, “come vivere, dove vivere e con chi vivere”, gli esiti e le differenti interpretazioni da parte delle Regioni del Decreto ministeriale sulle Linee guida per la presentazione di progetti sperimentali in materia di Vita Indipendente ed inclusione nella società delle persone con disabilità” hanno portato a modello di intervento condiviso da vari attori, ma con grande dispersione delle poche risorse finanziarie, che solo in ridotte percentuali sono arrivate direttamente alle persone con disabilità interessate. Oltremodo ha creato un dannoso “gioco al ribasso”, in relazione a quelle buone prassi che erano state a fatica attuate e sostenute in precedenza, di fatto impedendo di raggiungere una vera indipendenza, professata solo sulla carta.
Il risultato è ben sintetizzato ad esempio in questa richiesta d’aiuto da parte di un loro socio: «Salve, ho urgentemente bisogno di un consiglio. Sono rientrato tra gli assegnatari della sperimentazione ministeriale sulla Vita Indipendente. L’importo assegnatomi è di € 900 mensili…, io ho trovato un assistente e pensavo che bastasse questo, invece mi dicono che la cifra va divisa in macro aree e quindi 400 € per l’assistente, 100 € per l’abitare in autonomia, 100 € per le relazioni sociali, 200 € per la domotica e così via. Ma a me delle macro aree non interessa, io i 900 € voglio utilizzarli per l’assunzione di un assistente, anche perché che assunzione faccio con 400 €? Ma perché devono decidere loro come spenderli? Aiutatemi per favore!».

L’ENIL è consapevole anche nel rispetto dell’articolo 19 della Convenzione ONU, che l’assistenza personale autogestita non è l’unico strumento per rispondere al diritto di autodeterminarsi delle persone con disabilità, ma è una condizione necessaria per il raggiungimento dell’inclusione nella collettività, il naturale distacco dalla famiglia di origine, il diritto a una vita adulta. Pertanto denunciano ancora una volta il fatto che per una persona in condizioni di non autosufficienza non è possibile vivere in modo indipendente con un contributo di 900 euro al mese per pagare gli assistenti personali.
È quindi evidente l’enorme mancanza di risorse finanziarie nazionali necessarie a soddisfare in modo efficace ed efficiente tutte le richieste attuali e quelle potenziali future, per garantire i diritti espressi nella nostra Costituzione e l’inclusione nella collettività in tutti gli aspetti della vita.

Pertanto, chiedono riscontro alle parole del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, con Delega al Ministero per la Famiglia e le Disabilità Vincenzo Zoccano, pronunciate in una recente intervista al settimanale «Vita», ove affermava di voler intervenire «non solo rispetto al sanitario e sociosanitario, ma in tutti gli ambiti della vita» e che il suo Ministero senza portafoglio è proprio quello che ci vuole «per far spendere bene i soldi agli altri Ministeri».
E soprattutto chiediamo riscontro a quanto dichiarato nel NADEF 2018 (Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza 2018), ossia che «il Governo intende pertanto presentare un disegno di legge per la riforma e il riordino della disciplina per la tutela e la promozione dei diritti delle persone con disabilità: una riforma strutturale, volta a una revisione legislativa complessiva inerente alle diverse tematiche delle prestazioni e dei servizi per l’inclusione sociale, educativa e occupazionale, dell’accessibilità, della non discriminazione, del diritto alla vita adulta e del contrasto alla segregazione, con il fine di superare la frammentazione normativa mediante la redazione di un apposito Codice della materia».

Lo stesso Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, nelle Osservazioni Conclusive al primo rapporto dell’Italia sull’attuazione dei princìpi e delle disposizioni contenute nella Convenzione ONU, documento prodotto alla fine di agosto del 2016, ha dichiarato, a proposito dell’articolo 19, di essere «seriamente preoccupato per la tendenza a re-istituzionalizzare le persone con disabilità e per la mancata riassegnazione di risorse economiche dagli istituti residenziali alla promozione e alla garanzia di accesso alla Vita Indipendente per tutte le persone con disabilità nelle loro comunità di appartenenza».
Di conseguenza, citandone testualmente le Osservazioni, «il Comitato raccomanda: a) di porre in atto garanzie del mantenimento del diritto ad una vita autonoma indipendente in tutte le regioni; e, b) di reindirizzare le risorse dall’istituzionalizzazione a servizi radicati nella comunità e di aumentare il sostegno economico per consentire alle persone con disabilità di vivere in modo indipendente su tutto il territorio nazionale ed avere pari accesso a tutti i servizi, compresa l’assistenza personale».

Partendo da tali considerazioni, propongono anche al nuovo Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità, di cui vogliono continuare a esserne parte, le seguenti mozioni:

  1. Di superare, dopo cinquant’anni di applicazione nel mondo occidentale e dopo quasi un trentennio in Italia, l’attuale fase di “sperimentazione” e di passare all’esigibilità del diritto di tutte le persone con disabilità che lo scelgono, di poter liberamente assumere assistenti personali autonomamente gestiti, con un modello di progetto personalizzato e autorganizzato mediante l’istituzione di un apposito e adeguato fondo governativo. L’utilizzo di questa pratica non va inteso come l’unica soluzione per tutti i tipi di disabilità, ma come base di garanzia per l’autodeterminazione delle persone con disabilità, nel caso in cui queste lo richiedano, anche tramite chi le rappresenta.
  2. Di farsi portavoce nelle sedi opportune affinché lo Stato centrale si adoperi a commissariare, fino a che tali Enti non risolvano la situazione, quei Comuni e quelle Regioni che non provvedono ad adottare regolamenti e norme che prevedano l’assistenza personale autogestita come diritto umano soggettivo e inviolabile, unico strumento adatto al superamento del semplice assistenzialismo e al raggiungimento di una reale parità sociale e individuale delle persone con disabilità.
  3. Di chiedere nelle sedi opportune, visto che l’Italia ha totalmente ratificato la Convenzione ONU, che si passi dai princìpi generali contenuti nell’articolo 3, agli obblighi da essa elencati nell’articolo 4.
  4. Di fare applicare con eguaglianza alle Regioni il dettato del Secondo Programma di Azione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità [DPR del 12 ottobre 2017, N.d.R.], in particolare per quanto riguarda la Linea 2 dello stesso (Politiche, servizi e modelli organizzativi per la Vita Indipendente e l’inclusione nella società), superando i limiti evidenziati dell’attuale Decreto Ministeriale, prima citato.
  5. Di chiedere l’abrogazione dei limiti d’età imposti da Leggi, Delibere e Regolamenti in materia di Vita Indipendente e di inclusione sociale, a cominciare dai progetti in essere e da quelli in avviamento, in quanto la Convenzione ONU non li prevede.
  6. Di chiedere l’abrogazione della compartecipazione alle spese per tutti i progetti di Vita Indipendente e similari (ad esempio assegno di cura e così via), in relazione all’assistenza personale.
  7. Di farsi portavoce affinché si applichi l’articolo 33 della Convenzione ONU (Applicazione a livello nazionale e monitoraggio), commi 1 e 2, per creare un organismo istituzionale indipendente, collegato alla Corte Costituzionale e alla Corte dei Conti.
  8. Di farsi portavoce per fare in modo che l’Italia applichi il comma 3 del medesimo articolo 33, allo scopo di creare un organismo indipendente distaccato dal Governo, affinché venga monitorata l’applicazione della Convenzione in tutti i suoi articoli.
  9. Di fare pressione affinché la Legge 112/16, cosiddetta Legge sul “Dopo di noi”, che attualmente pone al centro l’assenza di assistenza familiare, e non le esigenze per una vera inclusione sociale e un programma efficace di deistituzionalizzazione, modifichi il suo orientamento, nel rispetto dell’articolo 19 della Convenzione ONU nella sua interezza.

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